“Tu ridi anche a’ cani!” mi ripeteva mia nonna in perfetto fiorentino (ovviamente con la “c” di cane aspirata come l’acca del “hot” in Inglese). Era il suo modo di dirmi che sorridevo a chiunque incontrassi, che provavo a stabilire un legame con tutti.
Ho scoperto molto tempo dopo che io ai cani sorrido davvero. E non solo. La scena che si ripete quasi ogni volta che incrocio un quadrupede peloso è più o meno questa: mi avvicino, lo guardo e sorrido. Poi dico qualcosa di scemo con la stessa vocetta che si usa per fare le smorfie ai neonati e aspetto una reazione. A quel punto, il cane mi guarda, spesso un po’ stranito. Forse, dentro di sé, dice qualcosa tipo: “Questa è scema…” come il bambino protagonista di “Senti chi parla” che aveva i pensieri doppiati da Paolo Villaggio. Fatto sta che a volte, bocca aperta e lingua penzoloni, i cani rispondono al sorriso.
A quel punto, soprattutto se si tratta di un Golden Retriever, la scintilla è scoccata e si passa a una bella grattatina sulla testa, dietro le orecchie e se il quadrupede risponde leccandomi le mani, anche meglio.
Credo che mia nonna considerasse il “ridere anche ai cani” un po’ un rischio, un po’ un’impudenza, in parte anche qualcosa di speciale.
Di fatto, ho capito che aveva ragione quando, a modo suo, diceva che non era il mondo a guardarmi in maniera strana, ma era come io guardavo il mondo a renderlo speciale. E anche adesso, ho gli stessi occhi.
Lasciate entrare il cane coperto di fango, si può lavare il cane e si può lavare il fango.. Ma quelli che non amano nè il cane nè il fango.. quelli no, non si possono lavare.
(Jacques Prevert)