Un esperto è uno che ha fatto tutti gli errori possibili nel suo campo, e se li ricorda tutti uno per uno.
E Massimo Viviani di errori sembra farne parecchi. E’ che ne azzecca anche tante.
Con tutto il bene che si può volere a Filippo Timi e alla sua interpretazione televisiva, il vero Massimo Viviani , il “barrista” dal fascino trasandato e cinico, è solo quello che si legge tra le righe di Marco Malvaldi. Il pathos da giallo di razza latita un po’, ma come si fa a non innamorarsi di Massimo e dei suoi vecchietti del “Barlume”?
Il “barrista”, riccio e moro, è laureato in matematica, è stato tradito e lasciato dalla moglie (“quella maiala!”) e possiede un bar nella località di Pineta, in Toscana, vicino alla Pisa del suo stesso autore. Il bar se l’è comprato facendo 13 al totocalcio ed è infestato da quattro vecchietti impiccioni e molesti, uno dei quali è il nonno che l’ha cresciuto. Sì, perché Massimo non ha nemmeno il padre.
E’ facile immaginarselo con la barba incolta, la battuta pronta e la testa matta. Dopo le 11 non serve cappuccini e prima delle due non serve granite. E’ la sua filosofia, la sua religione e se i clienti si lamentano saranno affari loro.
Massimo non ha fascino, ha personalità: quella di un maledetto Toscano, un po’ sboccato, il cervello sopra la media, il fiuto per gli indizi, la faccia tosta, l’insolenza e un menefreghismo scanzonato che fa innamorare. Non esprime le emozioni, ma comprende le persone. Di nuovo, un uomo tremendamente imperfetto e “sbrindellato” che nella vita ci sguazza, ma ogni tanto si tiene a galla a fatica. Un anti-eroe, un protagonista che si scansa quando i riflettori gli si avvicinano e, dalla penombra in cui si nasconde, lancia le sue parole acute e acuminate, le sue riflessioni logiche e conquista qualunque cosa gli si trovi a tiro.
Gli eroi sono il contrario degli oggetti: quando ti avvicini, diventano più piccoli.