Ve la ricordate quella famosa frase di Mourinho che diceva:
“Chi sa solo di calcio non sa niente di calcio?”
Ecco, a me è sempre rimasta in testa, come se dovesse essere un indizio per trovare qualcosa di più grande nella mia personalissima caccia al tesoro.
Per me è un po’ come dire che se restringi così tanto il tuo focus da concentrarti solo su qualcosa che ti interessa, è proprio quel qualcosa che perdi di vista, perché niente è fatto solo di se stesso.
Il calcio è fatto di uomini, di vite, di emozioni, di viaggi, di voci e vicende che si sviluppano incredibilmente lontano da quella palla. E se fissi gli occhi solo sul pallone, il pallone non lo conoscerai mai davvero, un po’ come se diventassi strabico nel voler fissare un punto solo che ti fa sovrapporre le pupille.
L’indizio è saltato di nuovo fuori davanti a una discesa ripida, un giorno di settembre. O almeno, è lì che mi è apparso parafrasato, ma un po’ come nella frase del Mou.
Avevamo fatto una salita ripida e impegnativa, ci siamo goduti il sole, l’aver raggiunto la vetta, il pranzo mangiato a morsi grandi per la fame e la soddisfazione. Insomma, stavamo festeggiando ma il viaggio era solo a metà.
Il fatto è che la discesa tendi a sottovalutarla.
La salita è resistenza, forza, fatica. Arrivare in cima ti fa sentire un vincitore, ma dimentichi che è la discesa che può metterti col sedere per terra.
Ho provato a mettere un piede su un punto scosceso e sono slittata in avanti. Mi sono fermata, bloccando le gambe e ci ho provato con l’altro piede. Di nuovo quella sensazione: il terreno franava un po’, ogni passo metteva a repentaglio la stabilità di stare su. Mi sono fermata, ho guardato in basso: molta strada da fare, la fine del viaggio oltre l’ombra di un bel bosco.
È stato lì che ho imparato: cercare l’equilibrio ad ogni passo significa restare fermi o fare la strada lenti e con paura. A volte significa anche farsi male.
Pensare che il piede possa essere sempre tutto poggiato a terra, saldo e stabile, è un’utopia. Bisogna imparare ad affrettarsi, a non cercare l’equilibrio se lo si vuole trovare, a toccare appena il terreno, ad accettare che in certi frangenti ci sembrerà di spiccare il volo. E che questo potrebbe spaventarci. È con leggerezza che bisogna imparare a farlo, consapevoli che non saremo perfetti, che balzeremo in maniera irregolare, sbavata, ma senza preoccupazioni, come l’ansa di un fiume che scorre.
E bisogna imparare a farlo ridendo, perché se la salita ci insegna a stringere i denti, la discesa ci insegna a perdere il controllo e a tornare bambini.